Il mestiere dell'interprete è un lavoro antico quanto il mondo. Un bassorilievo egizio risalente al III millennio a.C. attesta l'esistenza della figura dell'interprete nell'antico Egitto. Tuttavia, la nascita dell'interpretazione in senso moderno e, in modo particolare, dell'interpretazione simultanea, risale al periodo del Processo di Norimberga.

Tradurre tutte le udienze del processo in inglese, francese, tedesco e russo con la tecnica della consecutiva, avrebbe comportato tempistiche troppo lunghe, così per accelerare i tempi il colonnello e interprete americano Léon Dostert formò un'équipe di 100 interpreti che traducevano simultaneamente grazie a una tecnologia brevettata nel 1921 da Alan Gordon Finlay e Edward Filene.

Era nata l'interpretazione simultanea. A differenza dell'interpretazione consecutiva che lascia il tempo dell'annotazione, nella simultanea c'è un minuscolo spazio temporale per rielaborare il concetto dalla Source Language (Lingua di Partenza) alla Target Language (Lingua di Arrivo).

Vista la maggiore complessità, furono dettate delle regole per garantire la massima professionalità.

Si decise che ogni interprete dovesse tradurre verso la propria lingua madre, per un massimo di 2 sessioni da 45 minuti al giorno e con un giorno di riposo ogni due lavorati. Queste regole rientrano ancora tra le buone norme di condotta degli interpreti di simultanea. Oggi l'interpretazione di simultanea viene utilizzata soprattutto all'interno delle Organizzazioni Internazionali come l'ONU, il WTO, la NATO, L'UE (interpretazione di conferenza). Il 1941 vide la nascita della prima Scuola per Interpreti, presso l'università di Ginevra. Fare l'interprete è un lavoro dinamico e stimolante che pone ogni giorno davanti a sfide sempre nuove. 

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